giovedì 28 luglio 2016

Cronaca nera dal mondo vegetale: il caso delle piante carnivore

Due delle numerose vescicole delle ramificazioni terminali del fusto
di Utricularia, una pianta carnivora con trappola ad aspirazione.
Perché cibarsi di insetti ed altri piccoli animali quando sei una... pianta?


Durante l’estate del 1860 fui sorpreso di trovare in una landa nella contea di Sussex che un grande numero di insetti venivano presi dalle foglie della Drosera comune. Così, nel 1875, il biologo e naturalista britannico Charles Robert Darwin apre il primo trattato sulle cosiddette piante insettivore. Queste peculiari piante ricavano le sostanze nutritive mediante la digestione delle proteine degli animali, in quanto si sviluppano in paludi e torbiere, con basse concentrazioni di calcio, azoto, fosforo o potassio. Ma prima di continuare faccio un passo indietro… all’incirca un secolo prima.


La Drosera, dalle foglie ricoperte di tentacoli vivacemente colorati, secerne una sostanza collosa che attrae ed intrappola gli insetti e un succo gastrico che ne permette la digestione (nelle piante ad ascidio il compito di intrappolare e di digerire è assegnato ad un unico liquido). Nel 1770 il naturalista, mercante e botanico britannico John Ellis, dopo aver descritto la Dionaea muscipula, ovvero la pianta carnivora per antonomasia, studiò la Drosera e successivamente inviò al medico, botanico e naturalista svedese Carl Nilsson Linnaeus uno schema dettagliato su quanto approfondito al riguardo.

L’idea che una pianta sia in grado di intrappolare ed uccidere insetti è assolutamente contro l’ordine naturale voluto da Dio, scrive Linneo in una lettera di risposta ad Ellis datata nel 1768, dove, citando la Genesi, affermò che fosse inammissibile accettare che dei vegetali possano nutrirsi di animali: perciò egli concluse che la cattura era accidentale o comunque necessaria per difendersi dai predatori. Ma i risultati delle ricerche tendevano a tutt’altra spiegazione: quella individuata da Darwin. Ora si trattava solo di classificare le varie piante carnivore sulla base dei loro apparati e dei rispettivi meccanismi che regolano l’attrazione, la cattura e la digestione degli organismi.

Stimoli visivi, olfattivi e tattili permettono alle piante di attrarre le prede: come le striature che mostrano assorbimento nella banda dell’ultravioletto, in grado di condurre l’insetto all’interno della trappola, o ancora la produzione di odori simili a quelli del nettare, oppure la presenza di setole filamentose simili alle alghe di cui si nutrono alcuni crostacei. Mentre i meccanismi di digestione, che avvengono mediante succhi gastrici, sono legati a quelli di cattura che a loro volta derivano dalle strutture fogliari: quelle adesive presentano delle foglie dotate di ghiandole che secernono gocce di mucillagine; quelle a scatto sono meccanismi che funzionano grazie a porzioni fogliari che si muovono a seguito della stimolazione di appositi recettori; quelle ad aspirazione consistono di una sorta di vescicola, chiamata utricolo, che aprendosi verso l’interno genera un risucchio che aspira l’acqua e la preda al suo interno; quelle a nassa sono dotate di una foglia che consente l’entrata, ma non l’uscita, nell’apparato digestivo; in fine quelle ad ascidio possono assumere due meccanismi differenti: alcune presentano dei peli nella parte interna e linee colorate esterne, mentre altre sono trappole più che altro associate a meccanismi di richiamo degli insetti.

Si tratta di una strategia infallibile? No, perché c’è chi all’interno di queste trappole vegetali ci vive, riuscendo a sottrarsi dalla digestione: si tratta dei commensali, che in questo caso sono ragni, larve di zanzare e piccoli crostacei che sfruttano le sostanze nutritive presenti nelle piante carnivore.