domenica 2 agosto 2015

La meccanica del gatto di Schrödinger

Il paradosso del gatto di Schrödinger risale al 1935, quando il fisico e matematico Erwin Schrödinger, per illustrare come l'interpretazione di Copenaghen della meccanica quantistica fornisca risultati paradossali applicandolo a sistemi fisici macroscopici, propose un esperimento mentale.
« Si possono anche costruire casi del tutto burleschi. Si rinchiuda un gatto in una scatola d’acciaio insieme alla seguente macchina infernale (che occorre proteggere dalla possibilità d’essere afferrata direttamente dal gatto): in un contatore Geiger si trova una minuscola porzione di sostanza radioattiva, così poca che nel corso di un’ora forse uno dei suoi atomi si disintegrerà, ma anche, in modo parimenti probabile, nessuno; se l'evento si verifica il contatore lo segnala e aziona un relais di un martelletto che rompe una fiala con del cianuro. Dopo avere lasciato indisturbato questo intero sistema per un’ora, si direbbe che il gatto è ancora vivo se nel frattempo nessun atomo si fosse disintegrato, mentre la prima disintegrazione atomica lo avrebbe avvelenato. La funzione Ψ dell’intero sistema porta ad affermare che in essa il gatto vivo e il gatto morto non sono degli stati puri, ma miscelati con uguale peso. ».
L'ultima frase fa proprio riferimento al principio di sovrapposizione, secondo il quale se un sistema può trovarsi in due stati distinti, può trovarsi anche in una qualsiasi loro combinazione lineare.
Fonte: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:
Schr%C3%B6dinger%27s_cat_-_BLINK_tag.gif
In questo esperimento un ruolo fondamentale viene attribuito all'osservazione, in quanto una volta osservata la condizione in cui si trova il gatto, l'intero sistema (da non confondere con il sottosistema dell'atomo o del gatto presi singolarmente e descritti da uno stato misto) viene indotto ad assumere uno stato determinato.
Quindi, la perplessità di Schrödinger risiede nel fatto che la meccanica quantistica è apparentemente applicabile anche ad un essere vivente, e quindi ad un sistema fisico macroscopico, che può ritrovarsi in uno stato di entanglement con una particella.

Basandosi, sull'interpretazione a molti mondi di Hugh Everett III, John Archibald Wheeler e Bryce Seligman DeWitt la questione del gatto non risulta paradossale, perché sono realizzate entrambe le possibili alternative. Un osservatore vedrebbe realizzarsi solo una delle due possibilità, in quanto parte di uno dei due possibili "stati" dell'intero Universo: nei rispettivi stati ogni senziente ha la stessa realistica percezione dei senzienti presenti in tutte le altre.
In particoalre, Hugh Everett III introdusse il concetto che denominò "measure", secondo il quale la probabilità soggettiva dell'osservatore di risultare collocato in qualche specifico ramo delle varie realtà, fosse proporzionale alla grandezza delle probabilità riferite al numero emergente di ognuna di tali diramazioni. A questo proposito, il fisico Lev Vaidman nella Standford Encyclopedia of Philosophy, espone il concetto scrivendo:
«...Chiamo tale proprietà "misura di esistenza" di un mondo. Essa serve a quantificare la sua attitudine a interferire con altri mondi in un esperimento mentale, ed è su tale base che possiamo introdurre il concetto... e ...La probabilità di un esperimento quantistico è proporzionale alla misura totale dell'esistenza di tutti i mondi in cui compare quel risultato. ».

Invece, secondo Niels Henrik David Bohr non c'è alcun bisogno di un osservatore esterno per stabilire se il gatto è vivo o meno. In effetti, è ciò che suggerisce anche un esperimento analogo in cui i protagonisti sono un fotone e un cavo a fibra ottica: inserendo un secondo cavo a metà del primo e intercettando il fotone che lo attraversa, si registra l’informazione riguardo lo stato di tale particella che sarà quindi ben determinato, nonostante non ci sia bisogno di un'osservatore cosciente.